Esistono decine di parametri ottenibili da bilanci e dati contabili, tanti, troppi, a volte si rischia di perdersi.
Esistono anche vari modelli diversi di analisi, sempre più sofisticati e precisi che mettono impietosamente a nudo la situazione in cui versa la nostra azienda.
Quando chiediamo un finanziamento o ci rivolgiamo a fornitori strategici e a clienti primari siamo sottoposti a un esame tutt’altro che superficiale per verificare che tipo di rischio rappresentiamo per lo stakeholder.
“Big data” non è la solita etichetta dei media populisti, è una realtà fattuale, con pochi click chi lo volesse saprebbe di noi molto più di quanto a volte noi stessi si sia consapevoli.
Oggi la scelta è tra la consapevolezza e controllare quei parametri che compongono un determinato rating o tra l’incoscienza lasciandosi governare dagli eventi subendo ciò che capita fuori da qualsivoglia controllo: spesso la seconda situazione ci porta alla sciagura.
In questo articolo ci concentriamo su quattro indicatori determinanti per qualsivoglia stakeholder che intenda sondare la solidità della nostra impresa:
Patrimonio netto: sono i mezzi propri ed esprime la consistenza patrimoniale dell’impresa.
Sotto a patrimonio netto si vedono spesso voci incoerenti e poco credibili, le bugie hanno le gambe corte e certi artifizi sono un pessimo biglietto da visita. È forse la prima voce che si va a verificare e spesso sfrondata di ciò che non corrisponde a una verità documentale fa emergere patrimoni netti sostanzialmente negativi con potenziali ricadute legali su chi ha firmato gli ultimi bilanci.
Un patrimonio solido e ben documentato rappresenta il miglior biglietto di presentazione per un interlocutore e ci garantisce di poter affrontare eventi imprevisti senza rischiare il default.
Debt service coverage ratio: o DSCR rappresenta il rapporto tra flussi di cassa disponibili e i debiti oltre agli interessi passivi e oneri in un dato periodo. Più si avvicina a 1 più risultiamo a rischio di non poter far fronte agli impegni quindi meno affidabili. Sotto a 1 siamo tecnicamente già in situazione di insolvenza.
Indice di sostenibilità degli oneri finanziari: esprime il rapporto tra oneri finanziari e i ricavi di vendite e prestazioni, in sostanza indica quanto dell’attività core ripaga i mezzi propri e quanto i mezzi di terzi.
L’azienda lavora per l’imprenditore o per altri? Riusciremo a far fronte agli impegni con i flussi di cassa o salterà il banco? Correlato e interessante è l’indice di (in)dipendenza, e cioè quanto dell’azienda è effettivamente in mano all’imprenditore e quanto in mano ai creditori, spesso parliamo dell’azienda come se fosse nostra quando in realtà è magari per 80-90% di terzi.
Indice di adeguatezza patrimoniale: indica il rapporto tra Patrimonio Netto (vedi sopra) e debiti totali, misura la nostra forza, se in un dato momento tirassimo una riga saremmo in grado di liquidare l’azienda con un attivo o saremmo in situazione di concordato liquidatorio o peggio. Più l’effetto leva (leverage) è elevato più la nostra azienda è fragile e permeabile a choc interni ed esterni.
Uno stakeholder in sostanza è interessato a verificare se la nostra impresa sia solida ed affidabile o sia un castello di carte pronto a crollare al primo alito di vento.
Sistemare gli indici a esercizio chiuso è velleitario e pericoloso, qualsivoglia manipolazione la si sconta l’anno successivo. Si può e si deve lavorare preventivamente con una forte attenzione a tutti i parametri in previsionale e in chiusura a consuntivo minimo mensile, meglio se con cadenza almeno quindicinale.
Voi che fate?
Marco Simontacchi
24 maggio 2020