Il COVID-19 è molto più di un virus letale
Sotto il vestito niente
Dal celebre film di Carlo Vanzina, proiettato nelle sale cinematografiche a metà degli anni ‘80, prendiamo spunto per il titolo e per altre analogie. Come in un thriller ben costruito, anche per la pandemia in corso si sa fin dall’inizio chi sono le vittime, ma bisognerà attendere fino alla fine per capire, talvolta con grande sorpresa, chi è l’assassino. Ma sappiamo davvero chi sono le vittime? Forse non del tutto. In questo momento le immagini strazianti dei malati intubati in improvvisate sale di rianimazione e delle bare che sfilano silenziosamente nella notte sopra i carri dell’esercito impediscono alle nostre menti di analizzare lucidamente un orizzonte più ampio. Però ci sono anche gli altri: i vivi, i sopravvissuti, quelli che almeno fino a qui ce l’hanno fatta. Non per questo sono meno vittime, non per questo sono meno fragili.
Una cosa è certa: siamo nel mezzo di una tempesta che rimescolerà tutte le carte in tavola. I sistemi sociali, sanitari ed economici che abbiamo costruito nei decenni e utilizzato fino ad oggi stanno mostrando tutti i propri limiti. Le famiglie e le imprese, che non sono state previdenti accantonando il surplus di denaro frutto dei periodi di espansione economica, appaiono ora come “quei soggetti con la salute compromessa da patologie pregresse” che rischiano di allungare la lista dei deceduti a causa del virus.
Per fortuna viviamo in società evolute e complesse dove qualcuno aveva il compito istituzionale di accumulare denaro da rendere disponibile in caso di necessità: migliaia di miliardi di dollari ed euro “stanno piovendo” sulle economie mondiali a seguito dell’apertura delle casseforti delle banche centrali nazionali e transnazionali e degli altri organismi preposti come il Fondo Monetario Internazionale. Dobbiamo essere grati ai nostri padri e ai nostri nonni per aver creato quegli organismi e soprattutto per aver fatto dei sacrifici che oggi consentono a noi di avere un salvagente robusto a cui aggrapparci per non affogare. Quegli stessi padri e nonni che, ironia della sorte, il virus ha deciso di strapparci prematuramente.
Gli aiuti avranno modalità e forme diverse: la pioggia di denaro in alcuni casi finirà direttamente nelle tasche di aziende e privati (sotto forma di prestiti, indennità, sussidi/ammortizzatori sociali), mentre in altri casi finirà nelle casse dei singoli Stati sovrani al fine di agevolare indirettamente cittadini e imprese attraverso la sospensione, lo slittamento e la dilazione dei termini di pagamento di imposte, tasse, concessioni e con il riconoscimento di crediti di imposta.
Siamo giunti al dunque: che succederà dopo? I soldi “piovuti” dovranno essere restituiti oppure no? Questa è una domanda fondamentale che richiede una risposta urgente ed immediata perché è proprio da tale risposta che dipendono la destinazione e le modalità di erogazione degli aiuti. Non vi è dubbio sul fatto che ciascun Stato sovrano, avendo l’obbligo indiscutibile e inderogabile di assistere sanitariamente tutti i propri i cittadini, potrà e dovrà utilizzare tutto il denaro necessario indipendentemente dal fatto che dovrà restituirlo o meno. Mentre il discorso diventa molto più complesso quando si tratta di aiuti economici. Il dibattito istituzionale si infiamma e le opinioni diventano divergenti nel momento in cui si tratta di definire a chi dare gli aiuti, quanto denaro dare, per quale finalità, in che modo e in quanto tempo. Certo, sapere se almeno in parte il denaro “piovuto” possa non essere restituito, faciliterebbe la decisione di far pendere l’ago della bilancia a favore delle fasce più deboli. E sarà allora che scopriremo chi è l’assassino.
In ogni caso, alla fine di tutto, un conto da pagare ci sarà. Parte sarà a carico degli Stati sotto forma di debito pubblico, quindi in sostanza sarà della collettività e si spalmerà sulle generazioni future. Altra parte ricadrà sui singoli fruitori che saranno chiamati a restituire la liquidità anticipata per far fronte all’emergenza. Non a caso nei moduli da predisporre per ottenere presso gli istituti di credito/finanziari liquidità o agevolazioni viene richiesto di dichiarare che l’azienda fruitrice si trovi in stato di continuità aziendale, vi è la ferma intenzione di soccorrere e di dedicare liquidità alle realtà sane e salvabili, non di annacquare i debiti di quelle agonizzanti. Chi dichiarasse il falso con ogni probabilità a suo tempo sarà chiamato a risponderne patrimonialmente e personalmente.
Perché ciò accada occorre un “New Deal 2” che permetta a tutti gli stakeholder di agire in un comune interesse e nel minor tempo possibile.
Qualcosa sta già muovendosi, in EU viene meno il patto di stabilità con tutti i vincoli di bilancio, riparte il “Quantitative easing” che garantisce agli stati membri l’assorbimento dell’emissione dei titoli di stato e quindi la liquidità, si inizia a parlare di Coronavirus government bonds”.
Insomma, quel “whatever it takes” che Draghi in altri momenti pronunciò.
Il “New Deal 2” tuttavia non può che riguardare anche le aziende e i privati: tutti gli aiuti, finanziamenti, reddito di cittadinanza, bonus e quant’altro richiedono un patto sociale che eviti lo sperpero e l’indebito arricchimento. Mentre per tutte quelle imprese che sotto il vestito hanno niente, è giunta l’ora di liberare posti a beneficio di chi può farcela.
È il momento e l’occasione per sanare tutto il sistema, ripulire i bilanci e ripartire trasparenti e sani, far emergere il nero “grande cancro del sistema” (non a caso si parla di aiuti anche per i lavoratori in nero, meccanismo probabilmente atto a far emergere e divellere il malcostume), gestire la disoccupazione con sussidi certo ma anche con incentivi volti alla ricostruzione del nostro sistema imprenditoriale con il microcredito contro garantito ampliato rivolto alle start up.
C’è aria di riscossa, c’è voglia di far ripartire eliminando ciò che non funziona più con nuovi meccanismi e sistemi virtuosi.
Il nuovo è alle porte e come ogni rivoluzione spazzerà via inesorabilmente il vecchio, l’obsoleto.
Le aziende debbono guardare al futuro prossimo con occhio critico verso sé stesse e verificare cosa cambiare e cosa mantenere delle proprie strutture ed abitudini, che aiuti sono necessari e come pianificare a breve, a medio e a lungo la tesoreria per non essere colti impreparati.
Serve dinamismo, trasparenza e professionalità oltre che una flessibilità fin ora trascurata: ai ritardatari rimarranno le briciole, forse.
Con il progetto “Salva imprese Italia” questa rotta l’abbiamo già tracciata da tempo, Covid-19 non è stata la causa della tempesta, ha solo accelerato i tempi e gonfiato la portata e non ha colto noi impreparati.
Marco Simontacchi – Lello Piperno
26 marzo 2020